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Il concetto di «gioco» ha avuto due accezioni molto differenti nell'ambito delle scienze umane e della psicologia. La prima accezione definisce il gioco come attività fisica o intellettuale «libera», non finalizzata alla soddisfazione di un bisogno materiale, e si avvicina al significato che il termine ha nell'uso comune. Il gioco in questa accezione (play) è stato studiato come fenomeno presente non solo tra gli esseri umani, ma anche tra molte altre specie animali, ed è considerato un tipo di attività essenziale per lo sviluppo di capacità sociali e cognitive dell'organismo. Infatti, quando gli individui giocano, esercitano schemi di azione che risulteranno utili in contesti rilevanti per l'esistenza, come il comportamento predatorio, la difesa da pericoli e da nemici, la coordinazione di gruppo, la comunicazione e l'accoppiamento. Situazioni di lotta, conflitto o coordinazione ci portano invece alla seconda accezione del termine, quella che considera il gioco (game) come la circostanza in cui un individuo deve prendere delle decisioni in relazione alle scelte di altri decisori. In situazioni di gioco le decisioni di più individui (i «giocatori») si influenzano vicendevolmente e dipendono le une dalle altre: la teoria dei giochi, in particolare, è il campo di studi che si è occupato di analizzare le situazioni decisionali interattive. La «teoria dei giochi» può essere considerata un linguaggio universale per l'unificazione delle scienze del comportamento. Essa, infatti, non si è limitata ad analizzare situazioni di gioco comunemente inteso, come gli scacchi, la dama o i giochi di società, ma ha avuto un raggio di applicazione molto vasto, che include fenomeni economici, sociali, politici e biologici. Alcuni, rari, antecedenti teorici della teoria dei giochi possono essere fatti risalire al '700 e, in seguito, ai lavori di A. Cournot, che nel 1838 dedicò spazio al problema della competizione negli oligopoli, mentre negli anni '20 del '900 E. Borel pubblicò alcuni primi lavori sui giochi strategici. L'origine ufficiale della teoria dei giochi viene però fatta risalire alla pubblicazione, nel 1944, del libro del matematico J. von Neumann e dell'economista O. Morgenstern, che sviluppa alcune ricerche che Von Neumann aveva già condotto negli anni '20. Oltre a Von Neumann e Morgenstern, il matematico J. Nash può essere considerato uno dei padri fondatori della teoria dei giochi, poiché pubblicò agli inizi degli anni '50 una serie di articoli fondamentali sui concetti di equilibrio strategico, sui problemi di contrattazione e sui giochi non cooperativi. Se la descrizione rigorosa dei giochi è quindi un frutto recente, l'intuizione teorica attorno a essi è tuttavia presente fin dall'antichità. Platone, ad esempio, descrive nella Repubblica la seguente situazione: un soldato si trova al fronte, in attesa con i suoi compagni di difendersi dall'attacco del nemico. Se la difesa è sufficientemente forte da reggere, egli riflette, il suo contributo sarà probabilmente irrisorio e in più correrà il rischio di essere ucciso. Se il nemico è invece troppo forte, il suo ruolo in trincea sarà egualmente inutile. Il soldato conclude quindi che, in ogni caso, gli converrà disertare e allontanarsi dalla linea di difesa. Ma se tutti i soldati fanno lo stesso ragionamento, essendo nella stessa situazione, la battaglia verrà alla fine persa. Seppure all'interno di un contesto teorico diverso, questa situazione è un tipico scenario analizzato dalla teoria dei giochi, in quanto consiste nel descrivere i processi decisionali di ciascun individuo in relazione alle sue considerazioni sulle decisioni possibili degli altri soggetti. L'esempio di Platone può essere considerato come un caso ampiamente discusso nella teoria dei giochi, quello del «dilemma del prigioniero», che prenderemo qui come esempio paradigmatico. Esso fu discusso per la prima volta da M. Dresher e M. Flood, ricercatori della Rand Corporation, nel 1950, basandosi su una storia descritta da A. Tucker, della Stanford University: due persone sospettate di un crimine sono tenute in celle separate. Ci sono prove sufficienti per accusarli di un reato minore, che li porterebbe a scontare una pena di un anno anche senza una loro confessione. Se uno di essi confessa accusando l'altro per il reato più grave (per il quale non ci sono prove), verrà ripagato per la collaborazione e messo a piede libero, mentre l'altro sconterà quattro anni. Tuttavia, se entrambi si accuseranno a vicenda, ognuno avrà una pena di tre anni. Per rendere visivamente chiara la struttura strategica del dilemma del prigioniero si fa uso di una matrice che schematizza l'interdipendenza dei possibili risultati delle azioni di due soggetti, i giocatori A e B, quantificandoli in specifici pay-offs («vincite», utilità): A non confessa confessa non confessa - 1, - 1 0,- 4 B confessa -4, 0 -3,-3
In ogni casella della matrice abbiamo due valori: il primo è la vincita possibile per A, il secondo quella per B (la casella con -4, o significa quindi che A ottiene -4, nel nostro caso quattro anni di galera, e B ottiene o, ovvero la libertà: essi sono la quantità numerica della loro utilità raggiunta). Un gioco è descrivibile per mezzo di tre componenti: l'insieme dei giocatori, l'insieme delle azioni («mosse»: ad esempio confessare o no) possibili che ciascun giocatore può effettuare, le preferenze di ciascun giocatore sull'esito di ogni mossa, ovvero l'utilità che ognuno associa al risultato ottenuto (pay-offs). Con questi tre elementi siamo in grado di descrivere la dimensione strategica di un gioco, cioè la relazione tra mosse dei vari giocatori e risultati in termini di utilità, tralasciando eventuali informazioni come l'ordine delle mosse del gioco o l'influenza delle conoscenze intermedie di un gioco, importanti ad esempio in giochi come gli scacchi. Questa differenza rispecchia la distinzione importante tra giochi sequenziali e simultanei. Nel primo caso i giocatori compiono le loro mosse in sequenza, e quindi tenendo conto della mossa fatta dalla controparte (ad es. negli scacchi). Giochi in cui tutte le mosse fatte dall'avversario sono note vengono chiamati a informazione perfetta. Nel caso di un gioco simultaneo non è necessario che i giocatori prendano le loro decisioni in modo alternato. È possibile che essi siano all'oscuro delle mosse dell'avversario e agiscano in modo indipendente e in tempi del tutto diversi. Per esempio, due aziende reciprocamente ignare della strategia di marketing dell'avversario giocano per questo motivo un gioco simultaneo, anche nel caso in cui un'azienda avesse deciso la sua strategia mesi prima dell'altra. I giochi simultanei sono casi di giochi a informazione imperfetta. Nel dilemma del prigioniero, sia A che B hanno una strategia dominante, ovvero una scelta preferibile in ogni caso, indipendente da quello che fa l'altro, ed è quella corrispondente alla confessione. Se il compagno non confessa, infatti, converrà confessare (per essere liberato). Converrà lo stesso confessare nel caso l'altro confessi, per evitare di scontare quattro anni di carcere. L'equilibrio si assesta sulla situazione in cui entrambi i personaggi si accusano a vicenda, finendo per scontare tre anni di prigione. Si tratta di un risultato razionale, ma non ottimale: infatti se avessero cooperato tacendo, se la sarebbero cavata con un solo anno di carcere. Non è rilevante se questo gioco venga giocato sequenzialmente o simultaneamente: in entrambi i casi i giocatori sono motivati a non cooperare. Il dilemma del prigioniero è descrivibile come un gioco a somma variabile, ovvero la somma dei valori di utilità di entrambi i giocatori è diversa da casella a casella. Nei giochi a somma variabile vi possono essere margini dì interesse comune, essi rappresentano situazioni in cui c'è una dimensione sia di conflitto sia di cooperazione: questo potrebbe infatti lasciar spazio a contrattazioni, promesse, minacce, a cui un giocatore può far ricorso per accordarsi con la controparte su una soluzione alternativa. Ci sono giochi dove invece la somma è costante in ogni casella; tra questi, tipici sono quelli a somma zero, in cui i pay-offs di ogni giocatore sono sempre l'opposto di quelli dell'altro: quello che uno vince è pari a quello che l'altro perde, e viceversa. I giochi a somma zero rappresentano una dinamica competitiva e conflittuale pura. Un caso di gioco puramente cooperativo è invece quello in cui dei soggetti devono riuscire a coordinarsi. S'immagini la situazione di due persone che vogliono incontrarsi sulla stessa carrozza di un treno senza aver avuto il modo di comunicare previamente la propria scelta. Un'analisi approfondita dei giochi di coordinazione è stata condotta da Th. Schelling (1960). Dalla sua prospettiva, in mancanza di comunicazione occorre cercare di intuire le scelte dell'altro giocatore, il che introduce una forte componente psicologica: la capacità di farsi una rappresentazione degli stati mentali altrui. In una situazione ideale, anche l'altro si sta sforzando di prevedere il ragionamento del primo giocatore. In questo modo è possibile, per esempio, che i due soggetti riescano a incontrarsi scegliendo entrambi la prima carrozza del treno. Questo equilibrio è basato sulla possibilità di fare riferimento a un «punto focale», cioè a una caratteristica saliente (la prima o l'ultima carrozza spiccano più delle altre), su cui entrambi i giocatori possono sperare di venirsi incontro, migliorando le loro probabilità di successo rispetto all'alternativa di scegliere a caso la carrozza da prenotare. Benché la teoria dei giochi si sia sviluppata negli anni raggiungendo un livello di sofisticazione formale e complessità matematica considerevoli, nelle scienze umane, in particolare nella psicologia, l'interesse si è focalizzato soprattutto su modelli semplici e generali come quelli sopra descritti del problema di coordinazione e del dilemma del prigioniero. Quest'ultimo è considerato un eccellente modello del comportamento umano in situazioni di tensione tra cooperazione e conflitto, come in numerose situazioni di dilemma sociale. Un esempio celebre di tale dilemma è la tragedia dei «beni comuni» (Hardin, 1968). È il caso di un gruppo di pastori che hanno la possibilità di far pascolare le loro pecore su pascoli accessibili a tutti e dunque di utilità comune. Il comportamento migliore è l'uso equilibrato dei terreni comuni, in quanto permetterebbe la loro rigenerazione periodica e quindi uno sfruttamento illimitato. Ma ogni pastore riflette sul fatto che se gli altri utilizzano il terreno in modo limitato, egli avrà la possibilità di sfruttarne una parte maggiore. Al contrario, astenersi dallo sfruttare significa consentire agli altri di farlo. Il risultato finale - e in ciò consiste la tragedia - è che tutti si lanceranno in uno sfruttamento incontrollato, rendendo i campi comuni del tutto inutilizzabili dopo poco tempo. Una soluzione cooperativa sarebbe a lungo termine vantaggiosa, ma non razionale secondo la dinamica del dilemma del prigioniero: come nel caso dei due sospetti, confessare (non cooperare, non accingersi a comportamenti predatori) è razionale, ma non ottimale. Un tipico dilemma sociale è quello del cosiddetto free rider, cioè di chi beneficia di un bene (spesso pubblico) evitando di dare il proprio contributo per sostenerlo. Ad esempio, una persona, pur trovando utile il sistema di trasporti pubblici, può essere fortemente tentata di non pagare il biglietto, reputando il proprio (mancato) contributo come irrisorio. Tuttavia, se ognuno compie questo ragionamento, il sistema basato sul comportamento virtuoso della collettività rischia il collasso. La situazione paradossale descritta da Platone si lascia spiegare con lo stesso meccanismo. La strategia non cooperativa in un gioco come il dilemma del prigioniero è dominante se consideriamo degli attori isolati, incapaci di contrattare e soprattutto privi di una relazione reciproca. La tendenza ad adottare strategie non cooperative non è tipica solo degli scenari in cui manca un controllo esterno che vincoli i giocatori a cooperare, bensì di tutte le situazioni di mancanza di fiducia, definibile come un certo grado di sicurezza nella propria previsione del comportamento di un altro individuo. Si pensi al caso delle aste, un gioco ampiamente studiato dagli economisti, ma di interesse centrale anche per gli psicologi, in particolare quelle moderne condotte su Internet: ci sono casi di persone che truffano ignari acquirenti facendo loro pagare un prezzo per un prodotto che poi non viene inviato o che non corrisponde all'oggetto descritto nell'offerta. Questo accade perché una transazione economica è potenzialmente uno scenario da dilemma del prigioniero. Tuttavia i casi di truffa sono rari rispetto al volume di scambi delle aste telematiche. Questo per un motivo semplice: un truffatore, benché riesca a farla franca una volta, non riuscirà a spuntarla nelle volte successive, perché verrà immediatamente bollato dalla comunità come una persona di cui non bisogna fidarsi. Il truffatore può ripresentarsi all'asta ogni volta con un nome nuovo. Per questo motivo anche nomi poco noti vengono evitati dai membri della comunità, i quali piuttosto accettano di effettuare scambi con soggetti con cui si sono avute transazioni positive o già dotati di una reputazione, ad esempio grazie ai commenti di altri utenti passati. Questo esempio mostra come gli attori di un gioco non siano isolati da tutto e tutti, essi possono entrare in contatto più volte, giocare ripetutamente. La ripetizione di un'interazione fa si che le scelte di ogni agente siano ogni volta influenzate dalla storia delle interazioni passate, e quindi dalla reputazione dell'altro agente e dalle aspettative future sul suo comportamento. Tenendo presente la possibilità di giochi ripetuti si può mostrare che la dimensione delle aspettative, la cosiddetta «ombra del futuro» (Axelrod, 1984), influenza il calcolo individuale dei vantaggi, in certi casi determinando un incentivo alla cooperazione anche in situazioni di dilemma del prigioniero. In questi esempi, termini come «reputazione» o «ombra del futuro» traducono in chiave psicologica concetti che la teoria dei giochi ha formalizzato con rigore matematico. È un esempio di come lo studio dei giochi si sia sviluppato recentemente su due piani distinti. Da un lato c'è il tentativo di sviluppare modelli deduttivi (e spesso normativi) del comportamento razionale, descrivendo il comportamento di soggetti ideali e razionali. Dall'altro, c'è lo sforzo di sviluppare una teoria descrittiva del comportamento reale delle persone. Il paradigma sorto dalle ricerche negli anni '50 ha avuto il limite di non tenere conto della dimensione cognitiva dei giocatori e di non saper descrivere le modalità in cui essi ragionano in un gioco reale. L'approccio più formale e matematico dei giochi ha in seguito cercato di approssimare i propri modelli al comportamento reale formalizzando variabili cognitive come la disponibilità di informazione sul gioco da parte di ogni giocatore, la capacità di determinare i propri play-offs, di interpretare correttamente le azioni della controparte o di sviluppare congetture sul comportamento degli altri. Il tentativo resta quello di creare modelli deduttivi in grado di rappresentare più fedelmente situazioni di gioco reale. In alternativa a questo approccio, negli ultimi decenni la ricerca psicologica ha cercato di verificare empiricamente alcune previsioni sul comportamento dei giocatori, adottando un approccio strettamente descrittivo per mezzo di prove sperimentali in condizioni controllate. In questo modo è stato possibile osservare tendenze che un approccio deduttivo non può stabilire a priori, come ad esempio la componente di equità in giochi di contrattazione, contrapposta alla tendenza a massimizzare il guadagno, la percezione dei propri pay-offs o la misura delle attitudini verso il rischio e l'incertezza. Empiricamente si è osservato come i giocatori in un dilemma del prigioniero tendano a cooperare, anche in situazioni di incontro non ripetuto, andando contro le previsioni teoriche. Si è visto come già la semplice modalità di presentazione (l’«incorniciamento») del gioco può influenzare il comportamento delle persone: facendo giocare i soggetti al dilemma del prigioniero descrivendolo all'inizio come gioco della cooperazione o gioco della competizione si inducono comportamenti rispettivamente più cooperativi o più competitivi. Tra le spiegazioni della tendenza alla cooperazione, una è quella del «kantismo quotidiano», vale a dire la tendenza a universalizzare le regole del proprio comportamento e le sue conseguenze proiettandole nelle aspettative sul comportamento altrui. Questa tendenza ammetterebbe solo situazioni simmetriche (entrambi cooperano o entrambi defezionano) ed escluderebbe quelle asimmetriche (uno coopera mentre l'altro defeziona), neutralizzando la trappola insita nei dilemmi del prigioniero. Altre prove sperimentali hanno portato alla luce meccanismi più sottili. E. Shafir e A. Tversky (1992), per esempio, hanno mostrato che vi è una differenza di comportamento, in un dilemma del prigioniero non ripetuto, tra la volta in cui si sa che l'altro giocatore ha già fatto la sua mossa e quella in cui invece l'altro giocatore non l'ha ancora fatta, benché in teoria questo aspetto debba essere irrilevante. Con la consapevolezza che l'altro ha già fatto la sua mossa si tende a cooperare di meno di quanto si faccia supponendo che l'altro debba ancora fare la sua scelta. Questo fatto è stato spiegato come una credenza quasi magica di poter esercitare un'influenza sul comportamento altrui attraverso il proprio. Si è parlato a questo proposito di una vera e propria «illusione di controllo» nel gioco, vale a dire della tendenza a vedere nelle proprie azioni un potenziale contributo all'andamento delle azioni degli altri. In un gioco come quello dell'ultimatum, un giocatore propone una suddivisione di una determinata somma di denaro e l'altro può solo accettare oppure rifiutare. Rifiutando, nessun giocatore riceve alcunché. Secondo la teoria tradizionale, l'equilibrio perfetto di questo gioco è quello in cui il primo giocatore offre al secondo la quota più piccola possibile (maggiore di zero). Per quest'ultimo è sempre razionale accettare, piuttosto che non ricevere nulla. Sperimentalmente si è visto come questo non si verifichi: ripetendo il gioco più volte, il comportamento dei giocatori si assesta su una divisione più equa, falsificando la previsione teorica. Una spiegazione possibile di questo fatto è la presenza di un desiderio di mantenere un'equità nella contrattazione, un fattore di cui i modelli tradizionali difficilmente possono render conto. Questi esempi mostrano come l'uso del metodo empirico e sperimentale permetta di mettere in luce fattori psicologici nelle decisioni in situazioni strategiche che nella teoria pura non potevano emergere, rendendo auspicabile in futuro un potenziamento della capacità predittiva della teoria dei giochi e un incontro più sistematico tra ricerca formale e applicazione empirica. EMANUELE ARIELLI |